Quando l’isolamento diventa un rifugio che non si vuole lasciare

Prima i canti baldanzosi sui terrazzi, poi la valanga di meme ironici sui social, un occhio sempre allo schermo del PC e l’altro alla torta in forno.

Piccole strategie di sopravvivenza che hanno contribuito ad allentare la tensione e affrontare questi due mesi di quarantena. Ma ora che finalmente il conto alla rovescia è iniziato e si intravedono piccoli bagliori di normalità cosa succede? Sottotraccia balena un pensiero difficile da ammettere: quasi quasi non esco più.

L’isolamento trasformato in comfort zone. Connessi e contenti. Non è cosi raro sentire persone che si sono adattate fin troppo bene alla reclusione domestica al punto che ora temono il momento di uscire. Come mai?

Le persone e le famiglie che hanno un funzionamento psicologico più stabile tendono ad adattarsi con maggiore facilità a situazioni nuove così hanno trovato, in modo adattativo, una nuova routine più intima, casalinga, al riparo da tanti impegni e pressioni quotidiane. Altri ci si sono invece, per così dire, “rifugiati” sottraendosi a una vita faticosa che subivano magari senza accorgersene. Sono questi ultimi più probabilmente quelli che ora hanno l’impressione di non essere più in grado di riprendere i ritmi della vita pre-quarantena.

Valentina Di Mattei, psicologa clinica dell’Ospedale San Raffaele e professore associato dell’Università Vita Salute del San Raffaele di Milano

L’esperienza che abbiamo vissuto è sicuramente inedita, può rendercela in qualche modo più “familiare” avvicinarla a situazioni più comuni come la malattia e la convalescenza.

La fase 2 assomiglia alla convalescenza e come tale va affrontata per gradi perché all’inizio si è meno vigorosi e non si può pensare di ributtarsi nella quotidianità contando sulle forze abituali. Stare molto in casa indebolisce corpo e psiche anche se non si è stati realmente malati.

Valentina Di Mattei, psicologa clinica

L’isolamento ha anche avuto un effetto tsunami su due categorie essenziali per il funzionamento psichico: lo spazio e il tempo. Lo abbiamo sperimentato tutti: è bastata una settimana di lockdown per farci avvertire come remote le abitudini di soli pochi giorni prima. Alla contrapposizione del prima-dopo si aggiunge quella del fuori-dentro, importanti nella riflessione, come gli aspetti per così dire “binari” delle personalità: introversione ed estroversione.

I soggetti caratterizzati dalla prima tendono alla solitudine, alla riflessione e all’introspezione, coltivano meno legami ma in modo più approfondito. Dall’isolamento traggono energia e creatività. Gli estroversi invece si nutrono di stimoli molteplici provenienti dall’ambiente esterno e di relazioni diversificate, privati di questi elementi perdono motivazione e si “spengono”. Questo è uno degli aspetti del funzionamento psicologico che spiega perché, a parità di situazione a cui si è esposti, alcuni la vivono come una liberazione e altri come una prigione. Insieme a queste inclinazioni di base ci sono poi situazioni di disagio di fondo, magari prima ben compensate dal contesto: pensiamo a una personalità con elementi narcisistici lievi che si è vista sottrarre improvvisamente reali o presunte fonti di gratificazione e ammirazione; oppure a tratti di personalità dipendente che si sono trovati senza l’abituale “porto sicuro” affettivo.

Valentina Di Mattei, psicologa clinica

Impegni ridotti al minimo, molto tempo per assecondare gli interessi e nessun senso di colpa per le ore passate davanti alla tv: non è difficile riconoscere nella parentesi-quarantena una specie di “adolescenza prolungata” con la vita vera degli impegni rimandata a “dopo”.

Questo può aver conquistato i riluttanti all’uscita?

È un tempo sospeso, per alcuni versi simile all’adolescenza, in equilibrio tra l’infanzia e l’età adulta. La sospensione riguarda anche obblighi e responsabilità, per questo ha un suo fascino che la mantiene desiderabile nei suoi elementi di regressione. Non bisogna dimenticare però che per alcuni è stato anche un tempo di riscoperte positive, di legami familiari vissuti più pienamente, di case abitate, di oggetti ritrovati, come per esempio i vecchi album di fotografie. Sono pezzi della propria identità che nella freneticità della vita precedente alla quarantena non trovavano spazio. Ora è difficile ributtarsi nella corrente, abbandonando questi aspetti.

Valentina Di Mattei, psicologa clinica

Comprensibile, ma forse non abbastanza per ribaltare, come capita a qualcuno, scelte che sembravano imminenti, come andare a convivere o cambiare casa.

Se la quarantena ha rappresentato una frenata improvvisa è normale che gli oggetti più instabili cadano e che si mettano in discussione equilibri e programmi. Per chi ha avuto le risorse per farlo è stato quasi un periodo di “esame di coscienza”. Non sarà un caso se anche i ritiri di silenzio e discernimento delle tradizioni spirituali si modulano su quaranta giorni, una quarantena, appunto.

Valentina Di Mattei, psicologa clinica

Articolo tratto da “Il Corriere della Sera” a cura di Monica Virgili

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