
Puoi raccontarci qualcosa di te?
Mi chiamo Simone, ho 52 anni e sono un geologo.
Quando hai scoperto di avere la dermatite atopica?
All’età di 2 anni.
Qual è stato l’impatto della dermatite atopica sulla tua vita quotidiana?
A fasi alterne la malattia ha avuto delle recrudescenze che mi hanno portato anche al ricovero ospedaliero. In infanzia e in adolescenza la malattia mi ha lasciato importanti conseguenze mentre i vent’anni li ho passati abbastanza bene e senza cure particolari (solo idratazione della pelle con emolienti). Purtroppo invece a 30 anni ho avuto una recrudescenza della malattia piuttosto violenta che mi ha portato al ricovero due volte. A quel punto ho iniziato le cure con la ciclosporina cui sono seguiti degli anni postivi sul fronte patologia, ma ahimè dopo i 40 ho avuto una ricaduta importante e ho iniziato con l’assunzione quotidiana per via sistemica di cortisone. Ora posso dire che sto bene, dopo 2 anni di cura con Dupilumab presso ospedale B. Trento di Verona mi sento decisamente meglio.
Hai mai vissuto episodi di discriminazione o disagio a causa della dermatite atopica?
Si, in infanzia e in adolescenza.
Quali trattamenti hai provato?
Di tutto e di più: cortisone, fototerapia, ciclosporina, Dupilumab.
C’è stato un momento in cui hai perso la speranza o ti sei sentita particolarmente scoraggiato?
Speranza e coraggio mai persi, momenti di basso morale invece ne ho avuti diversi.
Come hai imparato a gestire la malattia nel tempo?
Ho smesso di combatterla. Ho capito che più cercavo di coprirla o negarla, più stavo male.
Come hanno reagito familiari e amici alla tua condizione?
Avendola avuta sin da piccolo è sempre stata parte di me, ci ho sempre convissuto.
C’è qualcuno che ti ha particolarmente aiutato in questo percorso?
I miei Genitori.
Cosa diresti a una persona che ha appena ricevuto una diagnosi di dermatite atopica?
Direi a questa persona che oggi la ricerca ha messo a disposizione importanti cure e che altre ne verranno, tutto sommato oggi si è fortunati rispetto al passato e bisogna mantenere la speranza perché si hanno buone possibilità di condurre una vita “normale”.
Se potessi lanciare un messaggio a chi non conosce la dermatite atopica, quale sarebbe?
Che dentro un vestito stropicciato ci sta una persona che ha coltivato una grande e forte interiorità da mostrare all’esterno.